Quante volte, pensando alla guerra, ci siamo detti: “ma noi, di fronte ai missili e alle bombe, che possiamo fare?”; e affidandoci alle immagini atroci e distoniche dei telegiornali siamo ripiombati nella distrazione del nostro vivere quotidiano. Questa che raccontiamo è la storia dello “scoglio che argina il mare”, a dispetto della famosa canzone; un piccolo segno di umanità rinata che ci rivela la presenza attiva e vicina di Dio che ci vuole bene. Ce lo hanno fatto vivere gli amici dell’Associazione Romano Gelmini per i popoli della Terra Santa con il presidente Ivano Tenti che ci ha fatto incontrare alcune amiche palestinesi che, per quanto vissuto in questi mesi dal 7 ottobre scorso a questa parte, meriterebbero il Nobel per la pace. Tenti ha ricordato come la loro opera non è un’opera di carità, ma un’opera di comunione così come aveva detto don Giussani ad alcuni che cominciavano un’opera. Comunione da chiedere prima di tutto tra chi si trova a lavorare assieme e che non va mai data per scontata, va curata e poi comunione con chi si incontra lavorando. Sul palco con le amiche di Betlemme c’erano il presidente della Gelmini Ivano Tenti, poi Ettore Soranzo che per 22 anni ha lavorato in Terra Santa ed Enrico Tiozzo, il ferrarese vulcanico e mite costruttore di opere di carità e solidarietà. Questi accadimenti inducono ad una riflessione del proprio impegno. Certo il lavoro e la condivisione restano ma appare sempre più evidente che il primo impegno è la tessitura di rapporti d’amicizia e di comunione, perché oltre alle pietre storiche ed archeologiche dei luoghi calpestati oltre duemila anni fa da Gesù, ora sono le “pietre vive” dei cristiani tutti, in primis quelli che lì e qui vivono, a parlare. Non a caso le amiche di cui ora stiamo scrivendo hanno creato a Betlemme l’associazione che hanno chiamato “Living Stones”, che significa proprio “Pietre Viventi”. Del resto i primi “memores” inviati a Nazaret da don Giussani, per così dire, avevano l’incarico di una presenza che, prima ancora di generare opere di carità, costruissero opere di comunione. Perché, come spesso diceva don Giussani, “la carità nasce dalla comunione”.
I viaggi organizzati e di gruppo in Israele sono ancora di fatto sospesi ma singolarmente sono invece sempre più possibili e così Enrico Tiozzo e Ettore Soranzo sono andati recentemente ad incontrare questi amici. Proprio Enrico Tiozzo ha spiegato in quale modo l’operosità nasca dalla fede: <Quando abbiamo iniziato questi viaggi, le amiche e gli amici di Betlemme ci chiedevano in continuazione “ma perché venite qua?”, insistenti fino al punto da metterci in imbarazzo. E noi li abbiamo invitati in Italia a vedere come viviamo e come portiamo avanti le nostre opere di carità. Finalmente a febbraio riaprono i voli e si può tornare. Siamo tornati e abbiamo visto una cosa bellissima e ci siamo detti: bisogna raccontare a tutti quanto sta succedendo. Per cui sono ora in Italia queste nostre cinque amiche per raccontare questa esperienza. Anche oggi siamo a Rimini per vedere questo nostro strano modo di vivere in comunione alla luce della fede>.
Ettore Soranzo, che da qualche anno è tornato in Italia dopo avere trascorso 22 anni in Terra Santa, ha accettato l’invito di Enrico Tiozzo ad andare a trovare gli amici, pur nella consapevolezza di non sapere cosa dire né fare di fronte ai disastri causati dalla guerra. E, forte della sua passione per la visita dei luoghi santi tentando di immedesimarsi con quanto è capitato li, sulla base dell’insegnamento di don Giussani, ha cominciato a spiegare un affresco della basilica della Natività a Betlemme, che rappresenta la seconda apparizione di Gesù dopo la Resurrezione nel luogo dove erano gli apostoli, ancora del tutto attoniti e impauriti per quanto successo. “Avvicinati e tocca pure”. Guardate quell’affresco, ha concluso Ettore, non vi sembra che Gesù dica proprio così, tirandosi su la manica e avvicinando l’apostolo a sé. Guardate Tommaso che si tira indietro e sembra che dica: “No, no: non serve”. Ma Gesù insiste proprio per dire che la novità introdotta da Lui nel mondo si può vedere e toccare. E dopo Tommaso – dice Ettore – io credo che Gesù abbia fatto toccare a tutti gli altri. Ma c’è di più: il nostro amico pittore Franco Vignazia, che conosce e apprezza il lavoro della nostra associazione e che aveva già realizzato un dipinto della scena di Tommaso, ne ha realizzato un altro con i discepoli che hanno il volto dei nostri amici di Betlemme. Volti che non sono affatto tristi come di chi vive una situazione di delusione, ma molto felici di rivedere un carissimo amico che era morto ed ora è tornato vivo>.
La felicità di questo incontro in uno scenario di paura e angosciosa lo hanno raccontato alcune amiche palestinesi che in questi giorni sono venute in Italia. Partiamo da Eliana. È sposata ed ha due figlie, una di cinque l’altra di circa tre anni. Dice: <Gli ultimi mesi sono stati davvero difficili con le mie figlie molto impaurite che non dormono la notte si fanno la pipi addosso parlano solo di guerra e la più grande, quando io le ho detto che tutto stava andando bene e che non c’era da preoccuparsi mi ha detto: “Mamma, è la prima volta che ti sento dire una bugia”. Così ho deciso, prima di tutto pensando a loro che non a me, di venire a stabilirmi in Italia con tutta la mia famiglia. Prima però vi voglio raccontare della nostra associazione (Living stone) per andare nelle scuole a raccontare e descrivere, come ha fatto Ettore, l’affresco della basilica della Natività e altri luoghi sacri. Non solo ai ragazzi e gli studenti, ma anche agli adulti, anziani, nelle parrocchie, con gli scout; rivolgendoci, oltre ovviamente che ai cristiani, anche ai musulmani che, come forse saprete, sono in maggioranza nelle nostre terre. Questi sono stati i primi a farmi domande, così ho sentito tante volte l’obiezione: “Ma tu fai questo perché sicuramente vuoi in cambio qualcosa da noi”. Un’obiezione che mi ha permesso di spiegare meglio cosa è la fede cristiana: “No, io lo faccio anzitutto perché Gesù ha fatto così con me, anzi è Lui che lo fa, attraverso me, anche verso di voi”. Ma loro hanno insistito: “Ma come si fa a credere in uno che non hai mai visto e che non conosci?”. Gli ho risposto: “Quando viaggi e prendi l’aereo tu forse conosci il pilota? No, certamente. Lui è dietro una porta chiusa che ti impedisce anche di vederlo. Se non ti fidi del pilota il tuo viaggio sarà veramente una sofferenza. Allo stesso modo se non ti fidi di Cristo, io non potrei vivere come vivo. Io vedo Cristo da tanti segni nella mia vita. Anche voi potete vedere e sentire Cristo. La maniglia della vostra vita è da dentro. Se qualcuno bussa, sei tu che devi aprire la porta. Tutti possono aprire la porta del proprio cuore. Gesù non può aprire e aspetta la tua mossa. Nel disegno di Vignazia, io vengo rappresentata come quella che apre la porta a Gesù. In realtà la apro per dire agli amici e ai fratelli: “uscite dalle vostre preoccupazioni per incontrare Gesù”>.
Wafa è una giovane mamma che lavora in un ospedale pediatrico che si occupa di accompagnare le mamme nel percorso di malattia dei loro figli. Dice: <È un lavoro difficile e pesante perché il dolore e la sofferenza, per non dire la morte dei più piccoli e innocenti, appare a noi e ai genitori ancor di più, come una grande ingiustizia. Io stessa fra l’altro, sono mamma di tre figlie e viviamo in un tempo di angoscia e preoccupazione e dunque ci portiamo nel cuore sentimenti contrastanti di amarezza e risentimento. Alla luce di questo molti cristiani stanno emigrando, anche perché c’è paura di perdere i figli in un attacco. Questo è naturale ed anche per questo i nostri amici che vengono qua ci stanno aiutando ad affrontare la situazione. Io sono nata a Betlemme e sono stata nella chiesa della Natività tante volte ma non avevo mai guardato a fondo quell’affresco. Inoltre ci è stato fatto vedere anche il disegno di Vignazia e siamo rimasti davvero tutti commossi, perché ci siamo subito immedesimati con gli apostoli presenti dopo la Resurrezione alle apparizioni di Gesù. Il dono più grande ricevuto non è stato qualcosa di concreto e palpabile ma la speranza di guardare Gesù che entrava in quella stanza e la sua luce. Prima eravamo proprio come gli apostoli: impauriti e chiusi nelle nostre case. Loro ci hanno dato la speranza portata da Gesù per il futuro nostro e dei nostri figli: nonostante attorno a noi infuria la tempesta, noi dobbiamo sempre avere la porta aperta. Dobbiamo rimanere qui in Terra Santa per “custodire” questi luoghi. Non solo noi siamo “pietre viventi” ma tutti i cristiani del mondo lo sono, noi viviamo in Terra Santa. Il compito di custodire i luoghi santi non è solo nostro che viviamo li, ma di tutti i cristiani nel mondo>.